ROMANCERO GITANO

PRIMA NAZIONALE

di Federico García Lorca

con gli allievi del Centre de Perfeccionament Plácido Domingo (Valencia)
e del Berklee College of Music (Boston)
Chiara Osella, Miriam Zubieta, Aleksey Bogdanov, Christian Collia
chitarra Luis Marìa Regidor Paìn
e con Rossy De Palma

regia Emilio López

produzione Associazione Baretti
in coproduzione con Centre de Perfeccionament Plácido Domingo e Berklee College of Music

Un ringraziamento a Paolo Ricagno che vent’anni fa mi fece scoprire questa musica (Davide Livermore)

Romancero gitano”, l’opera che procurò al poeta García Lorca la fama più larga e immediata, è una raccolta di 18 romances pubblicati nel 1928. Riprendendo con piena coscienza artistica il genere tradizionale del romancero, e rispettandone in sostanza la metrica e lo stile, García Lorca ha saputo rinnovarlo, interpretando con originale fantasia leggende, superstizioni e “archetipi collettivi” dei gitani di Spagna, in particolare andalusi.

Mario Castelnuovo Tedesco, uno dei più grandi musicisti italiani del Novecento, compositore colto e raffinato, scrisse più di duecento liriche per voce e pianoforte, musicando oltre a Lorca autori come Cavalcanti, Petrarca, Vogelweide, Cervantes, Shakespeare, Whitman.
La chitarra è lo strumento a cui si dedicò per tutta la vita, regalando alcune delle sue pagine più ispirate e autobiografiche. Ed è proprio alla chitarra che il compositore affida il compito di tradurre melodicamente, armonicamente e ritmicamente sette canzoni poetiche che costituiscono il nuovo “Romancero gitano”, ovvero una rosa di versi estratti in gran parte dalla raccolta il “Poema del Cante jondo” (1921-1925) di García Lorca.

Attraverso una scrittura madrigalistica (una forma di radice medievale, con più voci intrecciate su diverse intonazioni), mentre alcuni brani fungono da preludio e postludio musicale, i versi di Lorca sono rivestiti con una naturalezza sorprendente, quasi a rievocare una primordiale e intima corrispondenza dei due linguaggi espressivi: la musica e la parola.
Castelnuovo Tedesco amava considerare i versi del “Memento” di Lorca come proprio epitaffio: “Quando morirò | seppellitemi con la mia chitarra | sotto l’arena…”.

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